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“Vincente o perdente sono uno che lotta”: Paolo Di Canio, tra Lazio e Juventus

chiaraluce_paola@libero.it'

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Mentre nel ’68 gli studenti erano in lotta nelle università, a Praga Dubcek è stato il primo leader est europeo col coraggio di opporsi all’Unione Sovietica, e Martin Luther King jr. e Robert F. Kennedy furono assassinati da uomini spaventati dalle loro idee, in Italia nasceva al Quarticciolo quello che sarebbe diventato un virtuoso centrocampista, con atteggiamenti ora da capopopolo furente ora da talento incompreso: Paolo Di Canio. Questo il racconto del suo trasferimento dalla Lazio alla Juventus.

“Ho camminato a fianco degli ultras e ho passato il limite, più di una volta”

Dopo lo scudetto del 1973/1974,  alcuni giocatori e dirigenti della  Lazio vennero coinvolti nello scandalo del calcioscommesse:  Manfredonia e Giordano  ricevettero lunghe squalifiche e come punizione la Lega Calcio  retrocesse la squadra in serie B.  Era la stagione 1979/1980: fu allora che Paolo iniziò ad andare allo stadio Olimpico a vedere i  biancocelesti giocare. Non ci  sono stati molti giocatori che siano stati anche tifosi, o comunque non come Paolo Di  Canio il tifoso: era una promessa delle giovanili biancocelesti, ma era anche membro degli Irriducibili, uno dei primi. Paolo si sentiva invincibile: ha ricevuto pietre e mattoni dalla tifoseria avversaria, è stato accerchiato, la Polizia gli ha lanciato lacrimogeni: semplicemente ha vissuto la vita di un Ultra, felice di averlo fatto.

“Non posso rinnegare la mia giovinezza: ha contribuito a rendermi quello che sono”.

Stagione 1985/1986: Paolo vince con la Lazio il titolo italiano giovanile, battendo il Cesena allo stadio Olimpico. La Lazio finì dodicesima quell’anno, a soli quattro punti dalla retrocessione in serie C1, ma sempre per la sentenza del calcioscommesse le vennero tolti nove punti nella stagione successiva. Era un buco enorme da colmare: allora una vittoria valeva solo due punti. Sebbene il club avesse promesso che avrebbe dato l’opportunità ai ragazzi delle giovanili di mettersi in luce in campionato, alcuni finirono in prestito in altre squadre. “Non c’è spazio per te in prima squadra per questa stagione, ma la Ternana è un buon posto per farti crescere come calciatore. Comportati bene e tornerai tra di noi presto”, gli disse Pulici: Paolo accettò di dover lasciare Roma. Il presidente Migliucci lo pagò 750.000 lire al mese: il primo contratto professionistico di Di Canio.

“Devi dimenticare di giocare a calcio per sempre”.

A Terni la vita di Paolo Di Canio cambia radicalmente: incontrò Betta. “Non posso immaginare cosa sarebbe stata la mia vita senza di lei: mi ha dato l’equilibrio, mi ha aiutato a mantenermi calmo: so di non essere un esempio di tranquillità ma senza di lei non avrei avuto la lucidità mentale e la mentalità di lottare strenuamente dopo ogni sconfitta” scrive nella sua autobiografia. Per un infortunio al tendine i medici scelsero di curarlo mediante infiltrazioni: decisione dannosa non solo per una carriera, ma anche per la gamba e la vita di ogni persona. Le infiltrazioni curano i sintomi non il problema, che rimase lì e divenne totalmente intrattabile. A fine stagione, Paolo venne convocato per il servizio militare ma gli si prospetto l’eventualità di venire riformato e, se per i calciatori il servizio militare è un grande ostacolo, lui non comprese subito la gravità della cosa; fu Volfango Patarca a capire quanto la situazione fosse seria. Il responso del medico sociale della Lazio Carfagni fu lapidario: “Il meglio che possiamo fare è evitare che la gamba gli venga amputata. Potrebbe non essere più capace a camminare di nuovo”. Di Canio passa da giovane stella nascente a ragazzo di diciannove anni che avrebbe rischiato di non camminare mai più.

“So che sei passato attraverso l’Inferno, solo assicurati di essere pronto”.

Il professor Carfagni fissa a Paolo un appuntamento con uno specialista belga: un pioniere del suo campo con delle terapie ai limiti, ma non c’erano alternative. Tre mesi dopo la terapia dello specialista belga il responso fu: “Inizia la riabilitazione e cerca di essere pronto”. Due sono state le presenze speciali intorno a Paolo: la Lazio, che credeva in lui e senza il cui sostegno non sarebbe stato in grado di continuare ad essere l’uomo che è, e Betta, sempre al suo fianco. La stagione 1987/88 era quasi terminata, e con lei la sua riabilitazione: i biancocelesti erano in corsa per la promozione in serie A.

“La giovane rivelazione della prossima stagione è Paolo Di Canio”

La partita cruciale era contro il Taranto: una  sconfitta o un pareggio avrebbe legato il destino della Lazio ai risultati delle altre squadre. L’allenatore era Eugenio Fascetti, il quale convocò Di Canio nel suo  ufficio: “Ragazzo, vorrei che tu  sapessi che senza tenere conto se saremo promossi o no, passerai il  ritiro precampionato con la prima squadra il prossimo anno”. I  biancocelesti vinsero 3-1: erano tornati in serie A. E Paolo stava per  farne parte.

“Mister X”

Il Presidente Calleri rimpiazza Fascetti con Giuseppe Materazzi. Come spesso accade, in estate si disputavano parecchie amichevoli e le sostituzioni durante le partite erano tante; la Lazio non si era preoccupata di scrivere il nome di Paolo nella lista: appariva semplicemente la lettera X. La sua maglia non aveva neanche il numero sulla schiena: la prima volta venne annunciato dallo speaker come Mister X. Di lì a due mesi, nona giornata di serie A: il derby con la Roma. Paolo ha giocato cinque diversi derby nella sua carriera professionistica, ma “niente è paragonabile al derby romano, il derby del Cupolone”. Era un tifoso in campo. Al 25′ si avventa su una palla in area di rigore avversaria, la colpisce con una forza, una secca potenza che fu troppo anche per il portiere Tancredi: la palla entrò in rete, per poi uscirne. Paolo corre dritto davanti ai tifosi, direzione Curva Sud: dito alzato e faccia contrisa di estasi, sollievo e furia. Fu l’unico gol in quella stagione, ma la stampa lo inneggiava, e anche i tifosi, con cui ebbe subito un rapporto di pelle: era uno di loro.

“Fottuto laziale!”

Il presidente Calleri non aveva intenzione di rafforzare la squadra, volendo persino vendere i giocatori migliori. E Paolo fu uno di quelli messi in vendita. Sebbene diversi club lo avessero richiesto, era già stato raggiunto un accordo. Con la Juventus. Prezzo ufficiale: 9 miliardi di lire. Queste le parole del procuratore Roggi a Di Canio: “Devi capire che ora sei un calciatore professionista, non puoi essere tifoso allo stesso tempo. Hai scelto di essere un calciatore e questo significa che devi accettare di essere comprato e venduto, proprio come ora”. Calleri aveva già deciso che sarebbe stato venduto: ora doveva rendergli impossibile il restare. Disse che aveva chiesto un trasferimento, che cercava di essere ceduto. Paolo si rivoltò contro, e la maggior parte dei tifosi erano con lui: sapevano che non avrebbe mai volutamente lasciato la sua Lazio. Ma rifiutarsi di credere a ciò che era stato detto iniziò a diventare più difficile, e arrivarono i primi insulti. Una sera viene riconosciuto a Piazza di Spagna mentre era insieme a due suoi amici romanisti: “Perché non ci insegni la lezione!”, gli intimano. Volano pugni, arriva la Polizia e un amico gli urla di scappare: Paolo era già un tesserato della Juventus e se si fosse sparsa la voce della rissa sarebbe stata la fine. Nessuna accusa venne formulata, ma arrivò ad accettare l’idea che forse trasferirsi non era così terribile: la Juventus era anche la più grande società in Italia, e forse in Europa.

“Sei finito Di Canio!”

“Talvolta persino le dinastie cadono nell’oblio ed hanno bisogno di essere ricostruite. La squadra della Juventus di cui io feci parte si trovava proprio in questa situazione”: inizia così, nella sua autobiografia, il racconto del periodo bianconero Paolo Di Canio. L’allenatore che lo ha segnato? Giovanni Trapattoni, uno della vecchia scuola, che puntava sulla difesa, sfruttava la debolezza dell’avversario aspettandolo in fuga. Per lui Paolo era di troppo. In un’amichevole estiva a Palermo, lo fece entrare a cinque minuti allo scadere per poi avere da ridire sulla sua prestazione. E Di Canio sbottò, ma il Trap gli urla di rimando: “Da che genere di persone sei stato cresciuto?”. Lui non potè tollerare che qualcuno si rivolgesse così parlando dei suoi genitori: avanzò nella sua direzione, gli si avvicinò il più possibile. “Sei finito Di Canio!”, sentenziò l’allenatore. “Non sono finito. Ho un contratto, e decido io se restare o andarmene. E io me ne vado!”. I tifosi erano furiosi, ma ancora una volta valse la regola che i giocatori vanno e vengono. Sono le squadre quelle che rimangono.

 


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