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ESCLUSIVA LATIUM | Alan Donati, il figlio di Aldo: “Ho pubblicato su Spotify le canzoni di mio padre per i tifosi della Lazio. La più bella di tutte quante la canzone più bella”

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Alan Donati, figlio del grande Aldo Donati che ha scritto tra le altre ‘Sò già dù ore‘, splendido inno biancoceleste, è intervenuto in esclusiva a Latium, la trasmissione webtelevisiva di LazioPress.it. Ecco le sue parole:

La passione la sento sempre, purtroppo questa assenza forzata rende un po’ tristi e ci costringe a fare i tifosi in differita: bisogna tenere duro e sperare finisca il prima possibile quest’emergenza deleteria. Ricordo con affetto quando papà, guardando le partite, si emozionava sempre come fosse la prima volta: sentire lo stadio che cantava l’inno è stata sempre un’emozione e un orgoglio. Sò già dù ore è stato scritto nel 1977, su commissione della grande Lella Fabrizi: non è entrato subito nella quotidianità dei tifosi. Con gli anni ha ricevuto credito, ed è diventato il primo inno cantato come fosse un coro, e succede da venti anni: per papà era un’emozione indescrivibile, sia dallo stadio che da casa.

Per appartenenza Sò già dù ore è quella più importante, ma per questioni melodiche la migliore è La più bella di tutte quante, fatta per il centenario, e anche Felice Pulici era d’accordo. Ha spunti eccezionali a livello di testo, e ha frasi toccanti: è un’opera. Di recente ho notato che su Spotify non esisteva nulla di ufficiale dei dischi di papà, e ho voluto regalare ai tifosi tutti gli inni, anche quello cantato da mamma allo stadio in live: si trovano anche su YouTube.

Da bambino giocavo in porta, poi ho giocato da centravanti, sono arrivato in Serie D: mi piace il lavoro degli attaccanti, ma quello che mi ha emozionato più di tutti è Veron, nel passato era il calcio come lo intendo io. Genialità, fisicità, spirito di sacrificio, era completo a 36o gradi. Attualmente, tolto Ciro, Luis Alberto rappresenta ciò che mi è sempre piaciuto del calcio: ha fantasia ed estro, correlati al calcio. A me del calcio piace la genialità, e in lui la ritrovo, come il gol in tandem Luis Alberto e Milinkovic contro la Juventus“.

Su Reina:

L’evoluzione del calcio moderno prevede un portiere che si integri, come nel calcetto, al gioco con la squadra e con i piedi, come primo regista della squadra. La sua scelta è azzeccatissima, lui con molta determinazione riesce a dare palloni interessanti grazie alla sua visione di gioco“.

Sulla passione di Lazio in famiglia:

La famiglia di mio padre era tutta della Roma, e ho notato che spesso i più grandi laziali vengono da famiglie romaniste, che non erano sfegatati, ma mio nonno paterno era romanista. Mio padre era cresciuto tra romanisti ma è diventato un grande laziale. Io sono cresciuto ma avrei scelto comunque Lazio, non è solo questione di colori: è una scelta di élite e disomologazione. Rispecchia il proprio simbolo, l’aquila è un animale solitario, mentre il lupo se non in branco va in difficoltà. La passione di mio padre non nasce per uno standardizzato di padre in figlio, Mio padre ci ha messo del suo, ma avrei scelto comunque Lazio. 

Sono fortunato perché oltre che ricordi ho l’anima di mio padre trasmessa in musica e in voce, non solo per la Lazio: sono fortunato perché ho un ricordo vivido. I primi tempi era difficile ascoltare la sua voce, perché era dura da mandare giù. C’emozione, ma una tenera pugnalata nel petto, ogni volta che ascolto la sua voce.

Le frasi finali di Sò già dù ore nascono dopo la morte di Maestrelli: papà ha voluto dedicare le ultime righe del testo in suo onore. Per noi Maestrelli ha significato molto: noi tutti non lo abbiamo conosciuto, ma è come se fosse così. Sono cresciuto con il mito della Lazio dello scudetto del 74′, è un’epoca affascinante, ed è bello vederla ricordata negli inni. Frasi come ‘Quanti eroi ci hai dato tu’ dovrebbero essere presenti in ogni canzone”.

Sugli aneddoti divertenti con il padre Aldo:

Quando giocavo a pallone, prima di approdare in Serie D, la mia seconda partita fu contro la Lazio: vincemmo 2-1, feci un gol contro un giovanissimo Faraoni. Uscì Corriere Laziale scrivendo Donati fa uno sgarbo al padre. Mio padre mi disse ‘Guarda te che mi devi fà’.

Qualche anno fa, ne ho parlato anche con Ledesma, stavamo perdendo una partita, e ci fu una punizione che doveva tirare Ledesma, che non era uno specialista: lui strillava Ledesma no, e Christian la mise all’incrocio

 


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ESCLUSIVA | 26maggio, Crecco: “Giornata unica, io mi ero affidato a Radu”. E su Sarri…

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26 maggio 2013, una data indimenticabile. Sono passati 10 anni dal giorno in cui la Capitale ha visto le due compagini della Città contendersi il trofeo più importante della storia calcistica capitolina: la Lazio ha battuto la Roma 1-0 nella finale di Coppa Italia con un gol di Lulic al 71esimo. Parole che a distanza di tempo risuonano come un mantra: tutti ricordano dov’erano il giorno del derby, come hanno vissuto l’attesa e come sono stati i festeggiamenti. Tutti ricordano la tensione e la gioia smisurata. E a raccontare i dettagli di quella giornata memorabile è stato uno dei protagonisti di quella rosa: Luca Crecco, all’epoca giovanissimo, ha alzato al cielo la Coppa da calciatore e da tifoso, un binomio che ha reso quei momenti ancora più emozionanti.

Stamattina aprendo i social si può notare che impazza un trend…

E’ tutto biancoceleste. In verità è da un po’ di giorni che è così, da quando la Società ha iniziato a ricordare attraverso i video la marcia di avvicinamento a quella finale. Bellissimi i social colorati in questo modo“.

E il risveglio del 26 maggio di 10 anni fa com’è stato?

E’ stata una giornata che non dimenticherò mai. Viverla in quel modo, da laziale, non ha prezzo. Ricordo ogni minimo istante, soprattutto il triplice fischio quando siamo corsi tutti in campo. Il giorno dopo, appena sveglio, ancora non avevo realizzato cosa fosse accaduto. Avevamo passato una serata fantastica, con i festeggiamenti in pullman fino a tardi. Giornata unica“.

Eri il più giovane della rosa del 26 maggio, chi è stato il calciatore che ti ha fatto da guida in quei giorni?

Ero un ragazzino, avevo 17 anni, ero al mio primo anno in pianta stabile in prima squadra. Ricordo che c’era una tensione incredibile e ogni calciatore stava un po’ sulle sue, era una partita troppo sentita. Avevo legato, oltre che con Strakosha che era salito con me dalla Primavera, con Radu, che mi ha sempre aiutato in tutto e mi ha fatto crescere anche come uomo. Mi ero affidato molto a lui, ma anche lui sentiva tanto la partita“.

La partita l’avete cominciata a sentire già dalla semifinale vinta con la Juventus?

Il pensiero del derby è arrivato dopo. Archiviata la gara con la Juve abbiamo solo pensato ai festeggiamenti, perché avevamo ottenuto la finale superando una squadra fortissima. E come l’abbiamo superata poi, all’ultimo minuto. Ritrovarsi in finale la Roma è stato un bel colpo, ma tutto bene quel che finisce bene“.

Passando all’attualità, la Lazio di oggi era preventivabile vederla in questa posizione di classifica?

Ci speravo. La squadra è collaudata ormai da anni, alcuni calciatori giocano insieme da tempo e si conoscono bene. Quest’anno si è vista davvero una Lazio importante, la mano di Sarri è statafondamentale“.

Ci vedremo presto a Roma?

Al momento sono a Roma e domenica sarò all’Olimpico, a Formello un domani chissà… è difficile, ma la speranza è l’ultima a morire“.

 


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