Fatti, non parole. Miro Klose è così. Non uno che cerca i riflettori, non uno abituato a pronunciare frasi di circostanza, solo per essere ammiccante e trarne qualche beneficio. Miro è onesto, sincero, trasparente. Non parla spesso della Lazio, ma la porta con sé. «I miei figli sono laziali, anche se ora, a quasi 18 anni, giocano con la U19 del Monaco 1860 - racconta al Corriere della Sera - Essere a Roma è emozionante per me». Klose, 44 anni, bomber della Lazio dal 2011 al 2016, è tornato nei giorni scorsi per la «Partita della Pace» voluta da Papa Francesco, e ha portato tutta la famiglia. «I miei figli volevano conoscere Ronaldinho. Sono contento di aver partecipato all’evento, noi calciatori abbiamo il dovere di mandare messaggi di pace».Meglio ancora se l’evento è a Roma. «L’ho trovata bene, una città incredibile», e che lo lega alla Lazio. «A volte, scorrendo la galleria, rivedo le foto del mio periodo qui. Il legame che sento coi compagni con cui ho vinto la Coppa Italia nel 2013 contro la Roma resta, così come le emozioni che riaffiorano e l’affetto per la gente». Anche se non parla spesso di Lazio. Non ne ha bisogno, non deve dimostrare, né ostentare. La lazialità ce l’ha dentro. «Ho vissuto momenti che non scorderò mai».

Oggi è all’Altach, nella serie A austriaca: che allenatore è?

«Credo sia fondamentale avere una filosofia di gioco, anche nel rispetto del pubblico. Bisogna ragionare sulla percezione che la gente ha del calcio che si propone. Il gioco deve essere intrigante, offensivo. Mi piace avere il possesso della palla. La squadra deve essere attiva».

Un calcio diverso da quello che proponeva la sua prima Lazio, quella di Reja, col quale aveva però un ottimo rapporto...

«Per me era qualcosa di nuovo e da calciatore il mio obiettivo era mettere in campo le idee dell’allenatore. All’epoca sapevo di essere in grado di fare più di quel che mi chiedeva. Andai da lui e gli esposi le mie idee. Ma Reja non era solo tattica. Lui parlava in faccia. Diceva apertamente e anche brutalmente se riteneva che qualcuno avesse fatto male. Umanamente dava tanto».

Lei è diretto coi calciatori? «È importante esserlo. Devono sapere cosa fanno bene e cosa sbagliano. E credo che l’onestà paghi sempre». Le nuove generazioni sono abituate a questa franchezza? «Credo sia una questione di educazione. Ho diviso la squadra in due gruppi, il primo a ogni allenamento si occupa dei palloni, il secondo del materiale che ci serve. Se manca qualcosa, se qualcosa non è come dovrebbe, allora pagano una multa. Il calcio non è solo giocare».

Che cosa intende?

«Per rendere al massimo non ci si può limitare ai 90 minuti della partita. Si è calciatori sempre, 24 ore al giorno. Si deve riposare e mangiare bene. La carriera è breve, bisogna dare il massimo. Se si beve alcol e si va in discoteca, facendo il calciatore nei ritagli di tempo, non va bene».

L’allenatore si deve adattare alla squadra che ha o viceversa?

«All’Altach l’anno scorso giocavano un calcio diverso rispetto a quello che vogliamo proporre noi. Ci è voluto un po’, ho dovuto adeguare il sistema di gioco, provare i calciatori in ruoli diversi, ma ora sono soddisfatto. Per me è il posto giusto per imparare. Prendere ragazzi giovani e accompagnarli nel percorso da calciatore: il ruolo di allenatore lo interpreto così. Devo aiutarli a raggiungere i loro obiettivi».

Come si migliorano i singoli giocatori?

«Bisogna capire chi si ha di fronte. Ogni persona, e quindi ogni calciatore, può migliora- re su aspetti diversi, e avrà bisogno di più o meno tempo per farcela. Ma l’allenatore non deve mai rinunciare a lavorare su quel calciatore. Anche se l’apprendimento è lento».

Qual è il suo obiettivo?

«Allenare in Bundesliga. Ma non so quanto ci vorrà. Due anni prima di smettere di giocare ho capito che volevo restare in campo. Ho voglia di aiutare i più giovani. Mi identifico nel ruolo di tecnico».

E gli altri campionati d’Europa?

«Mi piacerebbe pure la serie A. Qui sono stato cinque anni, mi sono trovato bene. Lavorare da voi credo sia un obiettivo realistico per me».

Le piace la Lazio di oggi?

«Quando ho tempo la guardo. Sarri mi piace molto, lo considero un ottimo allenatore. Dà input interessanti alla squadra, che poi li mette in campo. Però non lo conosco personalmente, quindi il giudizio è parziale».

A differenza di quello su Pioli e Simone Inzaghi...

«Ho fatto una settimana di praticantato da Pioli. Alla Lazio con lui c’era grande intensità già negli allenamenti. E in campo si vedeva come si vede ora al Milan. Inzaghi si è migliorato molto nella tattica, nell’intensità, nella capacità di leggere le gare. Rispetto all’inizio ha fatto passi da gigante. Questo mi stimola perché dimostra che si può migliorare».

Qualche tifoso laziale si è sentito tradito da Inzaghi per come se ne è andato...

«Arrivati a un certo punto è comprensibile cercare nuove esperienze. Non ha preso una decisione contro la Lazio o i laziali. Ha pensato alla carriera. Penso però si debba essere sempre trasparenti. Quando si percepisce che si ha voglia di cambiare è giusto comunicarlo, alla società, ai calciatori e ai tifosi. Se si è chiari, nessuno si può arrabbiare». Elmar Bergonzini

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