Col minimo scarto e con uno sforzo medio, con un gol di Felipe Anderson che è la fotocopia esatta di quello del derby del 6 novembre, la Lazio ottiene l’obiettivo massimo, ovvero quello che cercava nell’umidità gelida dell’Olimpico: è ai quarti di Coppa Italia per la dodicesima edizione consecutiva, e il prossimo avversario sarà la Juventus, il 2 febbraio. Col Bologna, più che una partita ad armi pari guardandosi negli occhi, o una contesa a viso aperto, si è trattato di dare corpo e anima a un sostanziale monologo, in un continuo battimuro, perché l’avversario di giocare al calcio non ha dimostrato molta voglia: zero tiri in porta, e di fatto zero ingressi in area, tranne per un paio di corner e una conclusione di Orsolini nel primo tempo, col pallone che è volato altissimo, pare che a fine corsa abbia lambito la Farnesina.

IL PALLONE SEMPRE TRA I PIEDI - La Lazio, schierata da Sarri con la migliore formazione possibile e non con un turnover da Coppa Italia (tanto il Milan è lontano cinque giorni), si è trovata a giocare da sola, quasi con se stessa, il pallone sempre tra i piedi, e come Amleto col teschio di Yorick in mano ha cercato di trovare un senso al tutto, essere o non essere, per capire se la crisi di inizio gennaio è già alle spalle o se qualche scoria è rimasta. Giudizio finale: la Lazio è, nel senso che i meccanismi di preparazione della manovra funzionano, e anche quelli di recupero del pallone, ma al tempo stesso non è ancora, ossia non regge come dovrebbe: il compito viene portato a termine, 1-0 e tutti a casa, ma rimane il senso di un gioco ancora didascalico, di un’applicazione da sgobboni in tutti, ormai anche in Luis Alberto che dà il fritto in mediana, ma con una chiara mancanza di decisione negli ultimi 30 metri, un appannamento quando arriva il momento di decidere tutto. E questo, contro i grandi avversari che verranno, rischia di essere un limite.

MOLTE CONCLUSIONI A RETE - Non è un caso che la Lazio sferri almeno 7-8 conclusioni pericolose in porta, la prima addirittura dopo 13” di Felipe e l’ultima ancora del brasiliano al 24’ della ripresa, con Skorupski che però si disimpegna senza ricorrere a prodezze: manca cattiveria e determinazione al tiro, ed è un peccato dopo tanta preparazione. E il gol invece arriva come contro la Roma, con Pedro che al 33’ ruba in area a uno stolido Sosa (non si può provare a dribblare in area il signor Pedrito, lo sanno in tutto il mondo) e appoggia all’accorrente Felipe, piatto a porta vuota e amen. Per il resto, contro un Bologna arroccato a prescindere, e quel Pedro che sa tirare fuori conigli da cilindro come nessuno, ha funzionato bene la catena di sinistra, con Zaccagni sempre vivace che ha costretto spesso l’avversario al fallo, o ha suggerito bene (due volte per Milinkovic), anche se il tiro in porta pure per lui rimane un bel busillis. Felipe Anderson, alla presenza laziale numero 250, si conferma affidabile nel ruolo di centravanti, segnando il terzo gol di fila come non gli capitava dal 2015, anche se tende a sgusciare troppo via da riferimento centrale, e a volte i compagni al suo posto trovano un buco, e l’azione si ferma. Quanto ai due fini dicitori di centrocampo, su Milinkovic sembra ci sia ancora quella patina di polvere e di appannamento che affligge diversi reduci dal Mondiale: trotterella, strappa quasi mai, si accontenta della sua solidità tecnica ma non ne approfitta abbastanza: crescerà. Luis Alberto sembra più coinvolto mentalmente, più dentro il progetto, col Bologna ha giocato una bella ripresa di lotta e di governo, e lo si attende a questo punto a prove determinanti quando gli ostacoli saranno più alti. È forse lui la migliore notizia della Lazio di questo mese di gennaio: se Sarri è riuscito a far diventare un centrocampista completo anche il Mago, allora il futuro può essere roseo. Il Messaggero

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