Felipe Anderson è uno dei giocatori chiave della Lazio di Maurizio Sarri: lo è dal primo giorno in cui è tornato in biancoceleste e il suo reinserimento è stato preso quasi come una sfida da parte dell'allenatore biancoceleste che lo ha sempre visto come un potenziale fuoriclasse, ma discontinuo. E nelle prime interviste lo ha spesso ribadito. Dopo alcune gare importanti alternate ad altre in cui ha fatto fatica nell'arco della prima stagione, ha trovato una continuità più importante nella seconda stagione, ricamandosi anche un posto fisso da falso nueve da molti definito "alla Mertens" prendendo in riferimento proprio una delle squadre di Sarri che ha fatto faville, non facendo pesare più di troppo l'assenza del capitano Ciro Immobile e riuscendo anche a far girare bene la squadra in avanti. Insomma, una grande crescita per il giocatore brasiliano che si è fatto nuovamente amare dal pubblico biancoceleste nell'arco di poco tempo.

Felipe Anderson al suo primo gol al ritorno alla Lazio

Il  Felipe Anderson di Pioli

Ma perché nuovamente? Felipe Anderson, dopo una stagione passata tra evidenti alti e bassi, iniziò bene il campionato 2014-15 trovandosi una dimensione importante in poco tempo divenendo un giocatore dominante da dicembre fino alla qualificazione ai preliminari di Champions League conquistata al San Paolo. In panchina? Un allenatore che aveva costruito un modulo ad hoc per esaltare questo talento messo perfettamente in mostra dal brasiliano. Una stagione che verrà ricordata più per le sue giocate che per il resto: la doppietta a San Siro, le partite dominate da solo all'Olimpico come il 3-0 contro la Sampdoria o il 2-0 contro il Verona, o ancora i due gol in casa del Torino, l'assist per Lulic al San Paolo per la qualificazione in finale di Coppa Italia. Un Felipe Anderson capace di segnare, fare assist, scattare, giocare bene i palloni. Un giocatore che ha tratti sembrava completo ma che non è poi riuscito a stabilizzarsi al meglio trovando così una continuità.

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Il vecchio e il nuovo Felipe

Il Felipe Anderson che si vide in quella stagione fu qualcosa che rimase a lungo nella memoria dei tifosi biancocelesti, un giocatore che aveva fatto sognare una piazza intera e che a lungo gli stessi tifosi hanno aspettato affinché potesse tornare quello di una volta, senza però mai un esito positivo. Con Inzaghi, poi, il tracollo. Ma da quando è tornato di moda il suo nome, in seguito a un esperienza prima ottima e poi in calo con il West Ham e un conseguente prestito al Porto, nei tifosi biancocelesti è tornata quella speranza di rivedere il giocatore fenomenale di quella stagione. Così non è stato, ma l'aiuto di Maurizio Sarri in panchina ha comunque riservato una crescita importante e un ruolo ricamato alla perfezione per Felipe Anderson: ecco che, allora, quel ragazzo che una volta scattava per superare tutti gli avversari oggi scatta per portare via due uomini, per inserirsi colpendo anche di testa se necessario, ma anche per aprire spazi favorendo così l'azione di squadra. Un Felipe Anderson che gioca per il collettivo, all'interno di un sistema che funziona sempre più autonomamente e che insegue un modello importante come quello che ha in mente Maurizio Sarri. Un giocatore che è perfettamente entrato in questi schemi con tutto il suo talento, creando così un'importante risorsa proprio per il collettivo. Un Felipe più "autonomo", seppur non sia mai stato egoista, ha lasciato spazio a un Pipe più produttivo, in grado di lasciare un segno comunque importante. Tuttavia, le galoppate contro Hellas Verona o Sampdoria, per citarne due, non sono del tutto scomparse: l'inventiva non manca a Felipe Anderson, il quale ha fatto vedere comunque delle perle come contro il Cagliari in trasferta la scorsa stagione o contro lo Spezia solo poche settimane fa.

 
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