Un arcobaleno da Mago, nel fondo della notte umida, e si resta di stucco. La Lazio che sembrava impantanata è di colpo oltre l’ostacolo, lo si pensava basso invece si è rivelato impervio, la povera derelitta Samp che Luis Alberto condanna alla sconfitta numero 17 con una meraviglia delle sue, estratta dal cilindro: destro volante e filante da 18 metri dopo respinta corta di Nuytinck, sotto l’incrocio sinistro di Audero, la palla che muore felice in rete al minuto 80, Sarri è quarto per una notte, poi sarà già venerdì, l’incrocio del cuore con la sua Napoli. E festeggia pure la porta intonsa per la tredicesima volta in campionato, 17 in tutto. Perché dalla difesa si costruisce ogni cosa bella. E ti ci appoggi anche in serate di pessima vena, come quella di Immobile, che sbaglia tre gol e indirizza i destini verso il climax finale. Ma un po’ tutti avevano le ruote sgonfie.

NARCISISMO E PASSAGGI - Come quelle belle pentole di fagioli che sobbollono, il gioco della Lazio cuoce su se stesso a lungo, in una di quelle riedizioni del calcio masticato, sostanzialmente inutile, che Sarri detesta, visto che cerca esattamente il contrario dalle sue squadre. Invece la Lazio anche contro la Samp manifesta il solito difetto, se più di narcisismo o più di motivazioni tenui non è lecito capire, ma devono essere entrambe le cose insieme: una fittissima rete di passaggi che ben di rado sfociano nella verticalità, un dolce naufragio nella marmellata. Per carità, la Samp è arroccata e rattrappita come da copione e da attese, fa tampinare Milinkovic da un Rincon versione bracco, e Luis Alberto dal più leggiadro Cuisance, ha gli occhi di brace di Stankovic in panchina. Ci vorrebbe che i due tenori di centrocampo sveltissero corse e rincorse, invece il Sergente non ha strappi, il Mago sembra meglio disposto ma trova portoni chiusi, e anzi ormai si innervosisce delle lentezze dei compagni (come cambiano, le cose: avrà anche un confronto con Milinkovic). Finisce che gli unici sussulti arrivano da Felipe, sempre bello a vedersi negli inserimenti centrali, e soprattutto da Pedro, Pedrito il canario che stavolta sembra Zorro, sia per la maschera al volto sia per quel volpino intrufolarsi nelle tagliole, e combatterle una a una, palla al piede, razzente e furioso. È dalla sua frenesia che la Lazio guadagna metri e corner, anche se finisce con l’intasarsi negli ultimi trenta metri. E’ Pedro che cerca la porta al 19’ da fuori, prima dell’occasione al 21’: Milinkovic svetta ma la pettinata sul secondo palo trova Immobile fuori passo, e la deviazione è alta. Ma insomma è poca roba, anzi al 29’ la Samp (appena 11 gol segnati) trova un contropiede buono e Marusic salva su Cuisance. La cosa serve a dare una scossetta, da cui la Lazio cava un discreto finale di tempo, con il rigore negato a Pedro (contatto con Leris, fischiarlo non sarebbe stato un sopruso alla povera Samp) e l’occasione più nitida al 41’, ancora sull’asse di Felipe (sinistro smanacciato da Audero) e Pedro, che timbra il palo, poi Ciro conferma la serataccia spedendo alle stelle. Al rientro negli spogliatoi, la Lazio è fischiata dal suo pubblico. Ma nemmeno il disappunto della folla scuote gli animi malmostosi dei giocatori di Sarri, che iniziano la ripresa persino errabondi e slabbrati, al punto da concedere due occasioni alla Samp, a Gabbiadini al 7’ e a Lammers all’11, ma c’è Provedel. Zaccagni e Vecino rilevano Pedro (fine energia) e Cataldi, e subito Zaccagni imbuca per Marusic (15’), ma Immobile spreca l’assist con un tiro alle stelle, e sono tre. È la chiamata agli assalti finali, la Samp ormai nella tana. Marusic e Felipe vanno vicini al gol, ma l’appuntamento giusto è quello di Luis Alberto al 30’, e tanto basterà. Poi sarà difesa del vantaggio, anche nei corpo a corpo. Non sarà spettacolare, anzi non lo è affatto l’ultima Lazio, ma conosce anche l’arte cortomuso. In tempi difficili come questi, serve tutto. Il Messaggero

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