Vinci a Napoli e poi muori subito dopo. Stavolta Sarri aveva ancora più ragione a temere il pericolo per la prima sconfitta interna in Europa dal suo sbarco. Le fatiche del Maradona sono un macigno, ma alla fine l’incubo è sempre lo stesso. La Lazio non sa gestire il vantaggio, viene rimontata dall’Az Alkmaar e finisce moribonda al tappeto. Bastano un paio di pause di troppo e il tasto torna off. I biancocelesti crollano fra primo e secondo tempo, nel Dna non hanno il cinismo iniziale di Pedro. Incide il suo nome con la terza infilzata nelle Coppe (gli mancava solo la Conference in carriera), il cavaliere mascherato spagnolo, ma la Lazio finisce con un pugnale nello stomaco, fra i fischi dei diciannovemila imbufaliti (anche per alcuni tornelli chiusi) all’Olimpico, e con il peso di un ritorno complicato. Oltretutto poi a tre giorni dal derby capitolino.

BLACKOUT - Rovesciate le strategie di passaggio del turno. Con cinque cambi rispetto al trionfo sotto il Vesuvio, Sarri mette le sue intenzioni in chiaro, schiera comunque una formazione tipo. Senza Immobile infortunato, davanti c’è tutto il tridente leggero. Pronti, via, Zaccagni sgomma e scova Milinkovic tutto solo, ma il serbo – in serata tacco e punta - sciupa subito sul fondo la prima occasione d’oro. Identica accelerazione di Lazzari sul lato opposto, stavolta Kerkez (terzino non male, accostato alla Capitale a gennaio) anticipa Felipe Anderson. La Lazio inizia comunque con il turbo: palleggio e pressing forsennato, nuovi schemi da calcio da fermo. Oltretutto l’arbitro Nyber facilita la qualità e il fraseggio, non punisce mai i contrasti leggeri, fa correre - vedi un fallo netto di Pavlidis su Casale, fuori dopo 45’ per un indurimento al polpaccio – persino troppo. Felipe Anderson si sacrifica, recupera palla a centrocampo e fa involare Zaccagni per un altro guizzo e il primo assist europeo dell’anno: Pedro si nasconde dietro Hatzidiakos, risbuca all’improvviso al centro e anticipa tutti con un tocchetto al volo. Il trottolino spagnolo addirittura sfiora subito il raddoppio, ma Rayn è un muro. E allora l’Az Alkmaar risponde con uno squillo: una girata angolata di Mijnans, deviata da Cataldi, fa tremare un legno. Ecco il contraccolpo: i biancocelesti abbassano il ritmo, Sarri fa scaldare Basic per spaventare Milinkovic troppo impreciso e lezioso. Non basta, perché Sergej giocherella al limite e Karlsson s’invola sull’esterno, Patric e Maximiano si fanno anticipare e sorprendere da Pavlidis sul primo palo. Milinkovic si sente in colpa e sullo scadere cerca il riscatto, ma Ryan e la traversa glielo negano.

STANCHEZZA - Si rientra dagli spogliatoi su un inconcepibile 1-1. Anzi, la triste spiegazione è la solita incapacità di gestire il vantaggio contro squadre sulla carta di un livello più basso. L’Az ha enormi limiti difensivi, lascia varchi e tanto spazio, ma Felipe Anderson non riesce ad essere cattivo così come Milinkovic con arcobaleni a giro. Ed è un peccato perché Luis Alberto sembra ispirato, sforna cioccolatini, ma i compagni non li scartano. E allora puntuale arriva il raddoppio olandese sul solito buco lasciato da Lazzari con la testa e le gambe proiettate solo verso l’attacco. Per carità, c’è una capocciata mogia di Milinkovic, Pedro viene stoppato su un tentativo di contropiede a centrocampo, ma Karlsson ha una prateria per triangolare con Kerkez, che trafigge sotto le gambe Maximiano, uscito male e a vuoto. Non che Ryan faccia meglio poco dopo, ma Felipe Anderson riesce a divorarsi anche questo regalo e poi col piattone destro non trova lo specchio. Senza Immobile, nessuno la mette dentro, anche questo è il solito ritornello. La Lazio è stanca, ha bisogno di mettersi a letto ma, dopo essersi divorata tutto, con lo stomaco ancora in subbuglio. Dopo un raggio di sole, c’è di nuovo il buio. Il Messaggero/Alberto Abbate

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