Il 19 luglio saranno 18 anni di gestione Lotito, giusto farsi delle domande su una delle presidenze più lunghe della storia del club. Premessa d’obbligo: i meriti del numero uno biancoceleste vanno ribaditi. Il bilancio risanato quando solo un visionario sarebbe stato in grado di salvare la società dal fallimento, sei trofei conquistati, altre finali disputate, una presenza stabile in Europa League con qualche fugace apparizione in Champions. Dal punto di vista dei rapporti con i tifosi gli errori iniziali con successive correzioni condite da iniziative straordinarie (maglia bandiera e aquila Olympia su tutte) hanno aperto ferite che alla lunga si stanno rivelando insanabili. Aver tralasciato il settore giovanile, aver perso tanti riferimenti sul territorio della città hanno fatto perdere una percentuale di tifosi e creato una disaffezione preoccupante. Questo è il quadro, al di là delle posizioni tra i lotitiani oltranzisti e gli antilotitiani spesso troppo critici. In mezzo c’è la Lazio e soprattutto il suo futuro perché negli ultimi due anni sembra che l’effetto Lotito si sia perso. Con idee e intuizioni geniali si riusciva a compensare i pochi denari disponibili ma appare chiaro che, senza investimenti, si può vivere a buoni livelli ma non alzare l’asticella. Ora nessuno chiede al presidente Lotito di lottare per lo scudetto però avere l’indice di liquidità bloccato nelle ultime due sessioni di mercato per venti milioni di passivo è un segnale che c’è bisogno di fare di più. La cessione dei big non può essere l’unica via d’uscita per sistemare il bilancio. Oltretutto la Lazio è attesa da una rifondazione a giugno con tanti senatori che andranno in pensione e altri giocatori che hanno scelto di lasciare Roma: senza un aumento di capitale appare un’utopia il miglioramento della squadra. Inutile sperare in aperture di Lotito per l’ingresso di nuovi soci ma i tifosi chiedono a gran voce di rivedere il modo di agire. È necessario rischiare, spendere di più, a costo di indebitarsi come fanno gli altri se non ci si vuole rassegnare a un futuro incerto. Il Tempo/Luigi Salomone

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