Intervenuto ai microfoni di Radiosei, l'ex giocatore della Lazio Juan Sebastián Verón ha ricordato gli anni passati in biancoceleste, ha comunato la vittoria dell'Argentina di Scaloni e ha ricordato Sinisa Mihajlovic. Queste le sue parole: “Le sensazioni sono tante. l’Albiceleste l’ho vista campione del mondo da piccolo, poi ho avuto la fortuna di giocare e di provare a vincerla questa Coppa. Oggi, vedendola da tifoso, ho avuto questa esperienza bellissima e sono fortunato. C’è gioia, poi vedere i ragazzi e il loro attaccamento può alimentare la voglia di far crescere lo sport in Argentina. E’ stato un momento di gioia ed allegria in un momento complicato per il nostro paese. Per noi il calcio è uno stile di vita, puoi non avere il cibo in tavola, ma il calcio ti fa dimenticare tutto. Vedere la gente felice e unita, perché il calcio unisce, è una cosa unica che nessun altro evento può creare”. “Ho seguito tutta la malattia di Sinisa in questi anni, delle volte ne parlavo con Stankovic o con Mancini per vedere come stava e ultimamente anche con Arianna, la moglie. Eravamo in Qatar, con Vieri e Nesta e quando è arrivata la notizia c’è stato il vuoto, il silenzio. Zanetti, Milito, Cordoba: nessuno poteva crederci. Io da sempre ho avuto l’immagine di Sinisa come uomo forte, nessuno pensava potesse succedere questo a lui. E’ arrivata questa brutta notizia. All’inizio ero triste, lui era un fratello maggiore e io rimanevo con lui in allentamento per allenarmi sui calci di punizione e per palleggiare con lui. Quando lui mi dava lo spazio, li calciavo io i tiri da fermo, perché sapevo che Sinisa poteva svoltarti una partita con un tiro piazzato. Io ero bravo, ma lui era un grandissimo. Ho giocato con Maradona e Messi, tutti grandi tiratori, ma per me Sinisa era il migliore in assoluto. Difficilmente trovi un calciatore che può fare gol al 90% da punizione o calcio d’angolo. Il ricordo di Sinisa per me non può essere triste. Quel sorriso, la sua grinta, l’essere sempre positivo in situazioni difficili è ciò che mi rimane. Parlo di lui e mi viene il sorriso, la nostalgia, ed è una cosa bellissima. Dalla Samp alla Lazio, sempre con lui, mi stava vicino e mi ha aiutato perché sapeva come inserirsi da un altro paese. Mi ha teso la sua mano, l’ho afferrata. Sempre disponibile e non posso dire altro di Mihajlovic. Il ricordo, ripeto, è un grande sorriso. Sembrava duro, ma alla fine era dolce, un uomo con forti ideali e carattere forte, di spessore”. “Alla Lazio eravamo dei caratteri forti. Non era una rosa facile da gestire, l’unico che poteva farlo era Sven(Eriksson, ndr.). In quell’epoca lì chi gestiva meglio lo spogliatoio vinceva. C’erano grandissimi uomini, tutti volevano giocare e i giocatori intelligenti che capivano il loro ruolo hanno fatto la differenza. Tutti abbiamo dato il nostro contributo, sono stati anni bellissimi. Quando sono tornato in Argentina mi sono protato dietro tutta l’esperienza che ho fatto con Mancini, con Sven e in tutti quegli anni stupendi. Mi sono ritrovato in Argentina con tutti buoni giocatori, ma che avevano bisogno di essere gestiti. Con maniere forti, ma anche come padre”. Oggi comparare Maradona e Messi è ingiusto. Maradona nel suo momento ci ha fatto vedere un calcio che non avevamo mai visto. Tutti volevano essere lui, noi siamo venuti in Italia perché volevamo essere lui. Grazie a Dio c’è anche Messi. Il collegamento c’è, Lìo ci ha fatto vedere e sognare. Oggi ci sono i cellulari, i computer, io mi alzavo alle 11 del mattino per vedere il Napoli di Diego. Oggi ogni secondo sai quello che stai succedendo. La vicinanza con Messi è diversa da quella con Diego. La gioia per il popolo argentino è la stessa”. L’impresa di Scaloni è stato fare il ricambio generazionale, inserire i nuovi – giovani – con coraggio. Piano piano la strada l’ha percorsa con tutte le difficoltà del caso, con una Nazionale come l’Argentina in cui devi stare sempre sotto pressione. Oggi si è dimostrato un grande allenatore“.  

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