Ogni volta che, nell’era Lotito, la Lazio ha centrato la Champions (preliminare compreso), è crollata nel campionato successivo: dal 3° posto nel 2006/07 al 12° del 2007/08, dal 3° del 2014/15 all’8° del 2015/16, dal 4° del 2019/20 al 6° (a -10 dal quarto) del 2020/21. Non può essere più un caso. Eppure il passato non è servito da insegnamento per avere un cambio di passo e fare il salto definitivo. Per carità, in estate stavolta l’organico è stato allargato, ma forse non ancora abbastanza (dal punto di vista dell’esperienza e qualitativo) per reggere un doppio impegno così dispendioso. La Champions dà fior di milioni e prestigio, ma se li riprende con gli interessi l’anno dopo, senza investimenti adeguati al grande palcoscenico. È successo a Delio Rossi, Stefano Pioli, Simone Inzaghi, sta succedendo a Maurizio Sarri adesso, dopo un secondo posto da record. Ecco perché non può essere tecnico, il vero nodo, su quelli che vengono definiti evitabili incidenti di percorso. Sono una costante dell’ultimo ventennio. In questa stagione la media europea è di quasi due punti a gara, in serie A 1,5 a incontro. È sempre accaduto, quindi andava calcolato che la squadra potesse avere più motivazioni e disperdere maggiori energie nel torneo di maggior fascino (con poca abitudine a giocarlo) a discapito del campionato.

IL MERCATO NON BASTA - Dalle stelle alla stalle, dal sogno all’incubo. Dopo l’impresa e la festa di mercoledì scorso, quattro giorni dopo il ko interno col Bologna pesa come un macigno sulle aspirazioni biancocelesti al quarto o quinto posto. La Lazio scivola all’ottavo, a -8 dagli emiliani e dall’Atalanta, con le quali oltretutto è in svantaggio nel doppio scontro diretto. Le chance di tornare in alto sono già ridotte al lumicino, diventerebbero quasi nulle senza una vittoria dopodomani sera a Torino. Bisogna scongiurare il rischio di un ulteriore contraccolpo. Nel ripresa di domenica a pranzo, i biancocelesti sono scoppiati pagando gli sforzi fisici e mentali contro il Bayern Monaco. I ricambi a disposizione di Sarri non hanno dato nessun contributo. In più hanno pesato le assenze di Zaccagni e Rovella, e degli squalificati Romagnoli e Vecino. La strategia era chiudere la partita nel primo tempo ottimo. Rimane fortissimo il rimorso degli errori sotto porta di Immobile e dello sfortunato di Isaksen (palo) con sette tiri nello specchio, costano carissimi i peccati di presunzione di Provedel e Luis Alberto (sotto tono, Sarri pensa addirittura a Mandas sotto la Mole), ma anche l’arbitraggio. Il Messaggero/Alberto Abbate

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