Stefano Fiore: "Lazio? Sarri sicuramente è un valore aggiunto, ma la rosa..."
L'ex biancoceleste, Stefano Fiore, ha rilasciato alcune dichiarazioni riguardo la Lazio e l'attuale campionato di Serie A: ecco le sue parole.

Intervista a Stefano Fiore
A Napoli c’è chi ha persino messo in discussione Kevin De Bruyne in questi primi 2 mesi. Ritieni comunque corretta la gestione del belga da parte di Antonio Conte, che pur di schierare tutti i titolarissimi lo posiziona di fatto fuori ruolo?
I giocatori come De Bruyne sono impossibili da tenere fuori. Un giocatore magari non più giovanissimo, magari non sempre utilizzato al miglior modo, ma arriva da un calcio diverso. Per certi versi Conte lo imprigiona in un contesto un po’ più tattico. Lui viene da una maniera di giocare molto più libera, molto meno posizionale di quanto non fosse abituato con Guardiola. Quindi credo che sia anche un momento di adattamento per De Bruyne al nostro tipo di calcio, che rispetto ad altri campionati è meno tecnico, ma sicuramente più tattico.
Però la gestione è sempre stata la chiave di questi grossi campioni. Da questo punto di vista Antonio è molto più di impatto rispetto ad altri. Io credo che alla fine farà bene sia a De Bruyne sia a Conte questo tipo di confronto, questa maniera di fare calcio. I giocatori come De Bruyne determinano sempre in un modo o nell’altro. Ogni tanto dovrà adeguarsi De Bruyne, ogni tanto penso lo farà Antonio per il bene comune che è quello del Napoli.
Potendo scegliere, oggi Stefano Fiore preferirebbe giocare nella Juventus che magari ha un modulo più adatto alle sue caratteristiche oppure nell’Inter che rimane pur sempre la squadra con l’organico più blasonato?
Difficile fare una scelta! Giocherei volentieri in entrambe. Probabilmente in questo momento più l’Inter potrebbe essere più adatta alle mie caratteristiche perché gioca con gli interni di inserimento, vedi Barella, vedi Mkhitaryan. Sono quelle le zone di campo in cui io mi trovavo bene a giocare. Nella Juve probabilmente un giocatore con le mie caratteristiche invece manca, quindi per motivi diversi mi piacerebbe giocare in entrambe le squadre.
Qualche anno fa sei stato impegnato con Totti nella nazionale del “Mondiale delle leggende”: sinceramente, rivedendolo da vicino e considerando la qualità media della Serie A, ritieni che fosse davvero arrivato il momento del ritiro o che avrebbe potuto continuare a giocare come si dice ancora oggi?
No, io credo che le qualità di Franceso siano indubbie e riconosciute a livello internazionale. Francesco potrà fare determinate cose finché cammina, insomma: non dobbiamo lasciarci condizionare dal gesto tecnico e dalla qualità intrinseca del giocatore. È un mio parere personale, ma io credo che sia andato anche più avanti di quanto avrebbe dovuto e potuto, perché con l’anagrafe è difficile combattere. Quando si gioca a calcio è chiaro che si viene attirati dalla giocata, dal colpo ad effetto, dal gran tiro, dal tunnel e da tanti aspetti tecnici. Questo è bellissimo per il calcio e Francesco è stato uno degli esempi più luccicanti in questo senso, però il calcio di oggi e anche di quando Francesco stava finendo è fatto di tante altre cose.
Il nemico principale di Francesco e dei giocatori come lui è solo l’anagrafe. Io credo che abbia fatto cose eccezionali anche andando oltre una normale carriera che sotto un certo punto di vista era anche finita. Poi la sua immensa classe e la gestione che ha avuto, non giocando tutte le partite, lo hanno portato a finire un po’ più avanti. Però credo che il percorso che ha fatto sia giusto così.
Anche aver lasciato la Nazionale subito dopo il Mondiale potrebbe avergli allungato la carriera…
Ma lì è un discorso di gestione. Già il Mondiale lo aveva fatto venendo da un gravissimo infortunio. Lo ricordiamo tutti non brillantissimo in quel Mondiale, poi magari decisivo nei momenti clou come il rigore all’Australia perché un campione rimane un campione. Insomma, ci è arrivato un po’ logoro fisicamente. Probabilmente il fatto di rinunciare alla Nazionale e di gestirsi solo nel club evitandosi ulteriori viaggi e ulteriori partite gli ha permesso di allungare un po’ di più la carriera.
A proposito di Nazionale, ricordiamo che nel 2000 c’eri anche tu tra gli azzurri che hanno sfiorato il titolo europeo: a distanza di 25 anni, ci si ripensa ancora?
Io provo a non pensarci, perché sportivamente parlando non è un bellissimo ricordo. Però c’è sempre chi te lo ricorda, a volte ancora oggi, quando si parla di Nazionale, capita di tornare a quell’Europeo lì che è stato bellissimo da una parte, perché io ho vissuto un’esperienza bellissima, ma drammatico dal punto di vista sportivo perché l’epilogo non è stato dei migliori. Però è chiaro che, insomma, ci si pensa sempre, perché è stata una finale pazzesca, che meritavamo anche di vincere. A volte il calcio ti dà e a volte ti toglie e in quell’occasione lì ci ha tolto qualcosa. Però, col senno di poi, nel 2006 abbiamo giovato di qualcosa a favore rispetto al 2000, sempre con gli stessi protagonisti.
Per concludere: c’è un giocatore della Serie A in cui Stefano Fiore si rivede oggi?
È un gioco molto cambiato, come dicevo prima. È sempre molto difficile fare paragoni, soprattutto paragonando quasi epoche diverse perché oggi il calcio va velocissimo. A ripensare a circa 20 anni fa quando giocavo io… insomma, 20 anni sono veramente tanti. Un giocatore italiano che un po’ per caratteristiche mi somiglia è Pellegrini della Roma. Secondo me, a grandi linee è l’italiano che in qualche modo mi somiglia di più.