Photo by Elisenda Roig/Bongarts/Getty Images via onefootball
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Marco Ballotta:

"Sono trascorsi 25 anni ma sembra ieri. Fu un traguardo che ci si poteva aspettare ma non arrivava. E' successo in un modo inaspettato, dovendo aspettare la ripresa della gara della Juventus a Perugia. Si pensava a massimo ad uno spareggio, ma il gol della Juventus non è mai arrivato e da lì sono partiti i festeggiamenti. Fu un epilogo da film, magari fu il Giubileo a darci una mano dall'alto (ride, ndr). L'arbitro Collina fu molto bravo, dopo la pioggia del primo tempo, a non interrompere la partita di Perugia. Poi da parte loro ci furono tanti alibi e scusanti, in realtà la gara è stata persa per loro responsabilità. Per noi fu una doppia fatica, dopo il successo con la Reggina, è stato come aver giocato a distanza un'altra gara. C'è chi come è l'ha vissuta nello spogliatoio, chi era andato in tribuna, dove andai io successivamente per festeggiare. Non penso che nella storia del calcio sia mai accaduta una cosa del genere. Tutto molto strano ma bello (ride, ndr). Al gol di Calori ci siamo abbracciati forte, non ricordo neanche con chi. Sono volati gavettoni, poi i ricordi indelebili riguardano la festa in pullman nel cuore di Roma. Tre giorni dopo, poi, con tanto di tinta blu in testa, ci siamo presentati a Milano battendo l'Inter in finale di Coppa Italia. Questo per dire che squadra di campioni avevamo.
La partita più importante fu la vittoria di Torino con la Juventus, quando accorciando in classifica e mettemmo davvero pressione ai bianconeri. Noi dovevamo fare solo il nostro dovere da quel momento in poi. Abbiamo fatto il massimo, in quell'occasione è bastato per riuscire nell'intento. Era nelle loro mani, è passato nelle nostre.  Al Dell'Alpi giocai dall'inizio in virtù dell'infortunio di Marchegiani. La parata su Del Piero non fu un miracolo, ma una bella parata. Ho fatto il mio dovere in una gara in cui abbiamo corso solo un paio di rischi. Da lì la convinzione di potercela fare e così è stato.
Ce lo siamo meritati, ma tutto è nato dalla vittoria in Coppa Italia contro il Milan dalla stagione 1997-98. Anche in quell'occasione fu un trionfo anche nel modo in cui rimontammo. Senza quel successo sarebbero potute cambiare tante cose, magari alcuni giocatori non sarebbero rimasti ed altri non sarebbero arrivati.
Il rapporto con Marchegiani? Buonissimo, ma ero anche consapevole che non ero solo in vice. Mi sono ritagliato i miei spazi e quando ho giocato ho dato quello che dovevo dare. Quando si vincono trofei così importanti è il contesto di squadra che è importante.  Il 14 maggio è anche il compleanno di mia madre. E' una coincidenza fantastica e molto significativa per me. Una soddisfazione ed un regalo che ho fatto anche a lei.  Eriksson e Mihajlovic sono stati due compagni di viaggio importanti. Con Sven c'era un grande rapporto di fiducia, tanto che ho notato che teneva in considerazione anche i miei consigli. C'era un rapporto che è andato avanti per soli tre anni, anche se lui mi fece prendere il patentino di allenatore con la prospettiva di incontrarci nuovamente in panchina. Sinisa era una persona splendida, un lottatore che non si dava mai per vinto. Cosa che ha dimostrato anche nella malattia".

Luca Marchegiani

“Esperienza indimenticabile, gioia immensa. Il coronamento di un’intera carriera, di tutti quelli che hanno cominciato quella lunga scalata verso la vetta. Ho avuto la fortuna di assistere allo sviluppo di quell’idea, di quella squadra fortissima. Siamo cresciuti insieme e forse quella è la soddisfazione maggiore. Abbiamo costruito una squadra che non ha vinto per caso, ma seguendo un percorso a tappe ben preciso. Siamo partiti con ambizioni e consapevolezze. Eriksson? Allenatore straordinario, perché è riuscito a combinare la sua capacità di arrivare ai giocatori e ottenere il massimo, a un’esperienza nella gestione e nella chiarezza tattica. Sapeva adattare la squadra ai momenti e alle situazioni, era un calcio meno preparato a tavolino. Serviva quella sensibilità di capire quale fosse la mossa giusta da fare nel momento chiave della stagione.

"Ricordo quando venne espulso Favalli nel derby dopo pochi minuti, primo anno di Eriksson. Eravamo frastornati, ma lui non tolse una punta, bensì Almeida. Ci lasciò sorpresi - prosegue Marchgiani - ma al tempo stesso diede un segna,e di entusiasmo e coraggio che ci permise di ribaltarla. Guadagnò stima e fiducia da parte del gruppo. Sven era un uomo che difficilmente lasciava trasparire emozioni, la sua dote migliore era quella di tener fuori la squadra dalle questioni esterne. Fu messo spesso in discussione anche pubblicamente anche dalla tifoseria, alcuni pensavano servisse un ‘manico’ diverso. Alla fine, lo Scudetto porta il suo nome”.
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“Di aneddoti ce ne sono tanti, ma la giornata finale fu speciale. Un altalena di emozioni infinita. Io ero infortunato, ero a bordo campo con mio figlio piccolo. Quando ci fu l’invasione prima del finale a Perugia, uscii e tornai verso casa. In macchina sentii però il gol di Calori e a quel punto, girai la macchina e tornai indietro (ride, ndr). Tornai quindi con speranza e un filo di disillusione, perché quando dipendi dai risultati degli altri non hai mai tante sicurezze. Non era artefice del tuo destino e non era facile arrivare al traguardo. La delusione della stagione precedente era ancora viva, nessuno voleva illudersi. Lo spareggio era il massimo delle aspirazioni, la vittoria del Perugia era al di là dia qualsiasi aspettativa”.

“Quella squadra aveva un talento straordinario. Tante, tantissime soluzioni che la facevano essere tra le migliori della Serie A. Un campionato pieno di grandi giocatori in generale. Se pensi al centrocampo di quella Lazio, c’erano grandi giocatori e tutti con caratteristiche diverse, in grado di incidere in tanti momenti della partita. Sui calci piazzati con Sinisa era come avere un attaccante in più. Secondo me avevamo, in più delle altre, proprio questa incredibile varietà di soluzioni in campo”.

 

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