Lazio, Gabriele Paparelli: "Ho ancora la fobia dello stadio ma vado per mia figlia..."
Gabriele Paparelli, figlio del tifoso laziale che perse la vita in un derby, ha rilasciato delle dichiarazioni in occasione dei 46 anni dalla scomparsa del papà
Cosa la rende fiero del ricordo di suo padre
L’affetto. Ogni 28 ottobre leggo migliaia di messaggi di tifosi laziali di oggi e di ieri, adulti e ragazzini, romanisti, juventini. Anche se purtroppo sono ancora costretto a cancellare quelle stupide scritte sui muri che mi hanno perseguitato.
Sul perché alcuni infangano ancora il suo nome
Me lo chiedo da quasi cinquant’anni, è un modo per colpire i laziali. La chiamano “goliardia”, ma goliardia di cosa? Sandri, De Falchi, Spagnolo e gli altri tifosi vengono rispettati, mio padre no. Mi tocca ancora leggere “10-100-1000 Paparelli” e bestialità simili. Una vergogna. Sono sempre meno, ma giro ancora con uno spray sotto il sedile per cancellare le scritte. La prima? Ricordo le lacrime di mia madre. Io mi svegliavo prima di lei, percorrevo il tragitto che avrebbe fatto e cancellavo tutto. Se vedessi qualcuno scrivere un insulto sul muro? Lo porterei al bar, io e lui seduti, e gli spiegherei chi è stato Vincenzo Paparelli. Il tutto attraverso il dialogo. Per tanti anni ho covato rabbia nel leggere quelle cose. Non si rendono conto che una famiglia ne è uscita devastata.
Quale calciatore ha mostrato più vicinanza
Paolo Di Canio. Vent’anni fa invitò me e mio fratello a Formello e poi a pranzo. Voleva conoscerci e farsi raccontare nostro padre. Un gesto che non ho mai dimenticato. Negli anni, poi, ho ricevuto diversi inviti anche dal presidente Lotito. Delle istituzioni? Walter Veltroni. Quand’era sindaco di Roma trovò lavoro a me e mio fratello. Disse che la città ce lo doveva. Poi inaugurò un parco in onore di papà, col suo nome. Una persona d’oro. Messaggi dalla Roma? Mai. Né Totti, né nessuno. Mi sono sempre chiesto perché.
Se ha mai incontrato Giovanni Fiorillo, colui che uccise il papà
No. Quando era latitante ero troppo piccolo, non ho mai partecipato alle udienze e ai processi. Ma mi sarebbe piaciuto avere un confronto con lui, a dire il vero. Gli avrei chiesto “perché?”.
Sul perché le morti di tutti questi tifosi non fanno cessare definitivamente la violenza nel calcio
Ni chiedo anche questo da tanti anni. Il calcio dovrebbe essere amicizia, al massimo sfottò. A tal proposito, vorrei mandare un abbraccio alla famiglia di Raffaele Marianella, l’autista del pullman morto a Rieti. La sua morte inspiegabile mi ha ricordato quella di papà. Non si può morire così.
Il ricordo più bello del papà
La sua risata particolare, verace. Sembrava il gatto Silvestro. Mi raccontava di Chinaglia e Re Cecconi, si sarebbe innamorato di Immobile, Gascoigne e Boksic. Se vedesse la Lazio di oggi sarebbe incazzato, ma tiferebbe come non mai.










