Scrittore e saggista torinese, da sempre fermo sostenitore dei colori granata, Giuseppe Culicchia ha spesso intrecciato la sua carriera con la passione per il Torino. La squadra del cuore è tornata protagonista anche nel suo ultimo libro: "Torino, 16 maggio 1976: Un tuffo al cuore, vecchio e granata", un omaggio all’ultimo scudetto conquistato dal Toro - arrivato quasi trent’anni dopo la tragedia di Superga - e oggi ricordato con un velo di nostalgia, in netto contrasto con il difficile presente del club.

Culicchia è intervenuto in esclusiva ai nostri microfoni, offrendo il suo punto di vista sul Torino attuale, sempre più distante dai fasti del passato.

Il suo nuovo libro, "Torino, 16 maggio 1976: Un tuffo al cuore, vecchio e granata", che celebra un momento irripetibile della storia granata – cosa rappresenta per lei quello Scudetto oggi, soprattutto alla luce del momento difficile che sta vivendo il Torino?

Quello scudetto, a questo punto, rappresenta un unicum, nel senso che non vedrei come il Torino attuale possa mai raggiungere un risultato simile, purtroppo. Io ricordo che ero bambino all'epoca e, quando il Torino vinse lo scudetto, mio padre, che aveva visto giocare il Grande Torino, quello poi scomparso a Superga, mi disse: “Sono passati 27 anni dall'ultimo scudetto - che era del ’49 - figuriamoci se ne passano altri 27”. E sono passati 50 a questo punto. Temo che quel titolo conquistato dalla squadra allenata da Gigi Radice rimarrà davvero così, una cosa unica nella storia del Torino post Grande Torino.

Nel suo libro si è ispirato a quel momento storico come un modo per tornare alle origini e riscoprire l’identità granata, che sembra oggi mancare?

Di sicuro la tifoseria non ha perso l’identità, quello che si è perso per strada, ed è un peccato, è la capacità di trasmettere a chi oggi veste la maglia del Torino cosa significa quella maglia. La società, in tutti questi anni, non ha mai ritenuto di preoccuparsi, di far sì che magari qualcuno di quelli che avevano vinto l’ultimo scudetto potesse avere un ruolo all’interno del club per trasmettere questa memoria. Oltretutto, la cosa che, secondo me, pregiudica questo possibile passaggio di testimone sta anche nel fatto che il Torino è la squadra che oggi ha il maggior numero di tesserati stranieri, e da tantissime nazioni diverse. Un ragazzo che arriva al Torino oggi, che evidentemente non conosce la storia della squadra, che arriva da un luogo molto lontano, che parla un’altra lingua, che non ha la possibilità di incontrare qualcuno che invece con la storia la conosce molto bene perché l’ha vissuta sulla sua pelle, fa sì che negli ultimi vent’anni il Torino abbia vinto un unico derby. Questo, per noi - voi che avete il derby con la Roma - lo capite perfettamente: per noi quella è la partita dell’anno, e vincere una soltanto in vent’anni è più che frustrante, è una cosa terribile.

Da tifoso granata, come sta vivendo questo inizio di stagione così travagliato?

Un po' tanto travagliato perché nel giro di cinque partite il Torino ha incassato dieci reti e ne ha segnata una. Ci sono tutte le premesse perché si profili un campionato all'insegna della sofferenza più acuta, soprattutto pensando che l'ultima giornata di campionato sarà un derby. Se mai il Torino dovesse arrivare all'ultima giornata di campionato e ha bisogno di vincere per salvarsi, essere ottimisti è difficile. 

Dopo cinque giornate con numeri negativi, a cosa è dovuto secondo lei questo andamento? È più un problema tecnico o gestionale?

La seconda ipotesi. Baroni si è ritrovato un organico che ha delle palesi carenze, soprattutto in difesa. Abbiamo perso giocatori di livello internazionale come Buongiorno, perché è stato venduto, e come Schuurs, perché è infortunato ormai da un paio di stagioni. Quei due centrali non sono stati rimpiazzati a dovere. Non abbiamo dei terzini che siano evidentemente a un livello tale da impensierire gli attaccanti della Serie A.

Oltretutto, c’è questa girandola di giocatori: ogni anno il Torino riparte da zero. L’ultimo scudetto fu vinto da un Torino che aveva come presidente Pianelli e che costruì con grande pazienza, anno dopo anno, aggiungendo ogni stagione un pezzettino nuovo di quello che sarebbe poi diventato il Torino campione d’Italia. Qui si fa esattamente l’opposto.

Negli ultimi 20 anni, la società ha accumulato 400 milioni di plusvalenze. Significa che ha venduto i pezzi più pregiati, che però non sono stati rimpiazzati a dovere, perché altrimenti il Torino non si troverebbe in questa situazione.

Il futuro di Baroni al Torino sembra più in bilico che mai, e la partita con la Lazio potrebbe essere decisiva. Lo confermerebbe ancora o crede che sia arrivato il momento di cambiare?

La questione è che il Torino, oltre a cambiare molti giocatori, ha cambiato anche molti allenatori. C'è un elenco molto lungo in questi 20 anni: da De Biasi, che è stato il primo dell'era Cairo, fino a Baroni, ne abbiamo visti tanti sulla panchina del Torino, e devo dire che non abbiamo riscontrato delle grandissime differenze.

Quello che ha fatto meglio è stato Giampiero Ventura, perché con Ventura si è vinto l'unico derby e si è battuto l'Athletic Bilbao a San Mamés, che è stata la prima squadra italiana - il Torino - a vincere su quel campo in una Coppa Europea.

Però, al di là di quell'annata lì, chiunque si sia trovato sulla panchina del Torino non è riuscito a fare meglio di piazzamenti che sono sempre stati al di fuori delle Coppe Europee e che, ultimamente, continuano ad essere un galleggiamento: una metà classifica che, francamente, non sa di nulla.

Quest'anno forse avremo la soddisfazione di lottare per non retrocedere: c'è già un brivido in più, che però ci saremmo volentieri risparmiati.

Lazio-Torino arriva in un momento delicato: che tipo di reazione ti aspetti dai giocatori, alla luce anche dell'ultima sconfitta contro il Parma?

Per avere una reazione una squadra deve avere carattere, e per avere carattere deve essere una squadra unita, una squadra consapevole, una squadra che di fronte alle difficoltà sa reagire. Le faccio un esempio, quando il Torino ha perso 5-0 contro l'Inter alla prima di campionato non c’è stato neanche un ammonito nel Torino, questo mi sembra eloquente dal punto di vista del carattere. Voglio bene la cara Lazio perché ho dei carissimi amici laziali, sarà comunque una bella occasione.

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