Il compromesso dell’utopia: la Lazio imperfetta di Sarri
Tra sogno e realtà: la Lazio di Sarri tra bellezza imperfetta e compromessi inevitabili

E la Lazio? Nient'altro che la fotografia esatta di questa contraddizione. Rispetto all'atto primo, di cui il secondo posto ne fu il manifesto, non ci sono più i fuoriclasse ideali per il suo spartito. Non c'è più il contesto perfetto per un'orchestra che suona da sola. Oggi c'è una squadra non ancora decifrabile, spesso irregolare, acerba ma chiamata già da subito a superare i propri limiti. È qui che il sogno sarrista ha dovuto piegarsi, sporcarsi e contaminarsi con una realtà che nella sua ostinazione si fa sentire, soprattutto a causa del mercato bloccato.
Per ora, nessuna musica pura. Nessun canto idilliaco, nessuna certezza, nessun campione a cui aggrapparsi, ma solo un verso interrotto, che riprende adattandosi alle circostanze, tutt'altro che favorevoli.
Anche nella preseason biancoceleste è emerso questo dissidio: per una difesa solida ritrovata, c'è una palese difficoltà a trovare la gioia del gol, soprattutto con chi sarebbe designato per farlo (Castellanos e Dia).
Porta inviolata e attacco sterile, dunque, come se l'orchestra avesse i fiati in ordine ma le corde rotte. Nonostante belle promesse (Provtsgaard) e nuove speranze (Cancellieri), succede anche che la tensione possa esplodere, con lo stesso Castellanos che in terra reatina si lascia andare a un gesto di nervosismo che gli costa l'espulsione e la doccia anticipata, segno di una lotta più con sé stesso che con l'avversario.
Eppure, è proprio da queste incrinature, da queste contraddizioni, che nasce la malinconia sarrista. Non la nostalgia di ciò che non c'è più e che non può essere replicato (in assenza dei vari Milinkovic, Luis Alberto, Felipe Anderson, Immobile), ma la consapevolezza che un sogno può anche trasformarsi, e non per forza far paura. Che la bellezza non può essere eterna ma può scendere a compromessi con la realtà.
Contraddizioni e segnali di speranza: la malinconia che diventa essenza del nuovo progetto

E in questo senso, ad oggi, la Lazio ne è lo specchio perfetto. Burbera come il suo allenatore, imperfetta, capace di entusiasmare e di deludere nello stesso pomeriggio. Ci sono poche cose rassicuranti, il rischio è quello di non essere all'altezza del recente passato e dei dolci ricordi legati alla precedente avventura di Sarri sulla panchina biancoceleste. Eppure c'è la promessa, fragile e distruttiva, che qualcosa può essere invertito e che qualcosa di grande possa accadere.
La tifoseria lo sa bene. Quasi 30.000 abbonamenti sottoscritti solo per amore, per un sogno che i "maledetti laziali" non intendono farsi portare via. Per offrire sostegno in un momento difficile, da cui uscire tutti insieme. Per non rinunciare al diritto di sognare, pur accettando i compromessi della realtà. Non si pretendono trionfi immediati, ci mancherebbe, ma almeno una scintilla di quell'utopia che ha reso celebre il tecnico toscano.
La Lazio 2.0 di Sarri, dunque, è il sogno che fa l'amore con la realtà: non la nega, non la schiaccia completamente, ma la abbraccia e la trasforma. Una creatura ibrida di cui si vedono già i primi segnali (per quanto contino le amichevoli estive): partite sporche vinte di misura, e vittorie figlie più della disciplina che dell'estetica. Frammenti di calcio in cui la bellezza non domina ma sopravvive, a rarissimi tratti. È un compromesso, ma anche essenza stessa della malinconia: sapere che il cielo si può raggiungere, ma che a volte bisogna accontentarsi anche delle nuvole che lo coprono.
Segnali incoraggianti non mancano. La maturità e l'applicazione dell'"anarchico" Nuno Tavares hanno stupito in queste settimane, come le potenzialità dei già citati Cancellieri e Provstgaard. Resta, tuttavia, la sensazione che per Sarri questa sia la sfida definitiva. Dimostrare che un sogno può sopravvivere anche in assenza di un contesto perfetto. Che la bellezza può nascere anche nell'imperfezione. Che la poesia non muore se incontra la prosa della vita.
Certamente la Lazio di oggi non è la squadra che sarà celebrata nei manuali di tattica. Non sarà di certo l'esempio più calzante per la parola sarrismo. Possibile. Ma può essere, al contrario, ricordata per essere un gruppo che combatte e commuove nonostante i suoi limiti, nonostante i suoi inciampi. L'emblema di quanto sia umano il bisogno di continuare a credere in un'utopia, anche quando la realtà costringe a cambiare forma. E forse è proprio in questo momento che si è compiuto il sarrismo: non la perfezione di un'idea, ma la tenacia di un sogno che, seppur ferito, continua a respirare.