Chinaglia prima, Signori dopo, Immobile ora: tre generazioni diverse, ma tante caratteristiche in comune. Centravanti di razza, gol a non finire, carisma da vendere, ma soprattutto un attaccamento viscerale alla maglia della Lazio. Qualsiasi laziale sa chi sono e cos’hanno fatto per la casacca biancoceleste. Tre nomi imprescindibili per la storia ultracentenaria della prima squadra della Capitale. 

E Beppe Signori è il collant perfetto tra il ‘vecchio’ ed il ‘nuovo’, tra Long John e il King, il punto dove si incontrano due generazioni, il nome che ancora oggi tutti cantano allo stadio accostato a Chinaglia e quello a cui viene accostato Immobile. Non a caso per lui il popolo laziale è sceso in piazza, in uno di quegli eventi che sono più unici che rari nel mondo del calcio: l’11 (non un numero qualunque) giugno del ’95 i sostenitori laziali mandarono all’aria un affare già fatto, Signori al Parma? No, ‘Signori resta’ scriveva il popolo biancoceleste che aveva già da tempo incoronato il suo Re. E Signori quello ‘resta’ ancora, anche a distanza di anni, anche se lontano dal rettangolo verde e soprattutto è rimasto tale anche quando ha deciso di affrontare con dignità un’ingiusta vicenda giudiziaria: “Non volevo rimanere nel grigiore di una prescrizione. E’ una sentenza, il fatto non sussiste”, ha urlato a tutto il mondo uno degli attaccanti più prolifici della storia del calcio.  

Il 17 febbraio del 1968 nasceva ad Alzano Lombardo uno dei calciatori più importanti e più amati della storia biancoceleste. Per quella doppia maglia della Lazio indossata con orgoglio, per i tanti gol (la maggior parte da cineteca), per quel sinistro che faceva sognare, per quei rigori calciati alla ‘Beppe Gol’ che i bambini (e gli adulti) provano ad imitare e per quel coro che ieri, oggi, domani e sempre farà tremare l’Olimpico: “E segnava sempre lui…”, buon compleanno Re Beppe!

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