Mandatory Credit: Allsport UK /Allsport via Onefootball
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Le scorse dichiarazioni di Fernando Couto a LSC

Non avrei immaginato che sarei rimasto 7 anni alla Lazio. Mi sono divertito tantissimo, ho giocato con cuore e anima. Abbiamo vinto trofei importanti, sono contento di aver fatto parte della storia della Lazio. I due momenti più iconici? Lo Scudetto è la parte più importante, l’anno prima lo aveva perso in modo particolare. Vincerlo l’anno dopo in quel modo è la cosa più emozionante. Ho vinto ovunque, i trofei sono sempre importanti, sono uno a cui piace vincere anche nella vita, ma qui ho vissuto dei momenti davvero importanti e intensi. Penso che il percorso sia la cosa più emozionante, anche più del trofeo. Per arrivare a un traguardo devi pensare a quello che hai affrontato, quello che hai vissuto. Poi arriva il trofeo, il momento di gioire, ma bisogna godere il percorso, che è una parte del ciclo, del lavoro che si fa per vincere.

De La Pena


Io sono arrivato con Ivan nel Barcellona e ha fatto delle cose bellissima, molto buone. Forse era nella situazione giusta, con un calcio diverso rispetto a quello italiano che gli ha permesso di dare il massimo. Quando è arrivato qua in Italia forse non si è adattato, forse ha avuto delle difficoltà nel trovarsi con il modo di lavorare. Abbiamo vissuto insieme, io mi sono adattato in maniere diversa, lui ha fatto difficoltà. Non è l’unico, le stesse difficoltà le ha avute anche Gaizka Mendieta nel relazionarsi con un calcio diverso rispetto a quello che giocava in Spagna, più fisico e quindi questi giocatori più tecnici hanno avuto delle difficoltà in più. Con un po’ più esperienza la qualità che aveva lo avrebbe reso un giocatore più importante con la Lazio.


 L'arrivo alla Lazio

Sono venuto più esperto rispetto a De La Pena e avevo l’esperienza con il Parma alle spalle e che mi ha dato più tranquillità al momento dell’approccio. Abbiamo avuto subito la Supercoppa, una partita che ricordo perfettamente. Ricordo il gol di Sergio, ce la meritavamo, quella è stata il ‘click’ per la stagione. I tanti ruoli giocati? Sì, un segno di fiducia, ma anche una grande gestione del gruppo: Negro faceva il centrale, Pancaro a sinistra. Eriksson a volte lavorava per 15 giorni con un calciatore perché gli serviva per una partita specifica in quel ruolo. Il livello era talmente alto ed equilibrato, che doveva gestirli e lui faceva bene. Quando c’erano le Nazionali tutti andavamo via e restavano cinque giocatori che si allenavano con la Nazionale.

I leader della Lazio

Non vorrei parlare dei singoli. Era un gruppo con grande leadership. C’erano tre capitani che erano Favalli, Nesta e Marchegiani. Tutti di quel gruppo avevano una personalità talmente forte, al punto che eravamo tutti capitani, ci gestivamo e ci rispettavamo molto. Il segreto di quella squadra era che ci allenavamo sempre in modo molto intenso. Tutti si allenavano allo stesso modo, perché potevano giocare tutti la domenica. Era una squadra con un carattere molto importante, giocatori che a loro modo avevano un carattere forte e davano qualcosa di diverso al gruppo.
 

La forza della rosa biancoceleste 

La squadra era talmente forte che non posso scegliere un nome. Un sacco di giocatori forti. Anche chi non giocava era forte, come Sensini. Tutti i reparti erano molto equilibrati. Sarebbe ingiusto scegliere un nome.

Lo spogliatoio

Io avevo la fiducia dei giocatori e dei compagni. La nostra forza era questa, avere fiducia nei confronti di tutti. Potevamo vincere qualcosa di più, ma abbiamo fatto un bel percorso e ci siamo divertiti tanto. La capriola? Mi piace farla. Ho iniziato a farla nel Porto da piccolo qualche volta, quando segnavo gol importanti. Quando sono venuto qui sono tornato a farla una volta e alla gente è piaciuta, era diventato qualcosa di obbligatorio, a volte facevo anche fatica (ride, ndr). Il coro non mollare mai cantato per 30′? Ho sempre avuto un grande rapporto con la tifoseria, mi piaceva molto, erano molto attivi. Avevamo un bel feeling.

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