Un gigante, un Mago e un arciere d’oro. Benvenuti nel paese delle meraviglie di una grande Lazio. Milinkovic e Zaccagni, in mezzo un tacco fatato di Luis Alberto, tabù bianconero infranto all’Olimpico. Per la sesta volta nella storia battute tutte le big in un solo campionato. Sarrilandia incanta, disintegra la Juve e si lancia in fuga al secondo posto a +5 dalla Roma, +6 dal Milan e +7 da Inter al quinto. Prodezze davanti e compattezza dietro, c’è tutto in questo volo di Pasqua in Champions. C’è superiorità, c’è tattica, c’è la capacità di reagire alle avversità fuori dal campo (i blitz della finanza in settimana a Formello) e pure dentro l’incontro, con un arbitraggio a dir poco scandaloso. Calci, cazzotti e falli di mano: non si capisce come sia usciti senza un rosso Locatelli, Alex Sandro, e ancor di più Cuadrado, beccato poi da sospetti buu della Curva Nord, ripresa dallo speaker con una pena pendente (si rischiano due turni di squalifica) e sospesa dal giudice sportivo.

CORAGGIO - È il tripudio della consapevolezza della Lazio contro l’avversario più in forma del campionato. Sarri ha coraggio, si presenta con la formazione tipo: decide di giocarsela con uno strepitoso Cataldi in regia e Immobile al 50% in attacco. Allegri resta a letto a Torino con l’influenza, ma conferma Di Maria e Vlahovic nel 3-5-1-1. I bianconeri creano densità in mezzo, lasciano il pallino del gioco alla Lazio, che parte da due calci d’angolo e un siluro centrale di Luis Alberto. Il Mago sfrutta poi una punizione di Cuadrado (braccio dopo un calcione, nemmeno ammonito da un Di Bello disastroso) e manda Milinkovic a un passo dall’incrocio. Replay dal corner pochi minuti dopo. I biancocelesti sfruttano i due contro uno sulle corsie esterne e gli inserimenti di Milinkovic al centro, su cui Bremer salva tutto. La determinazione e l’intensità dei padroni di casa infuoca i 55mila dell’Olimpico, avvelenati con Di Bello (fischietto da tempo avverso) per un piede a martello di Vlahovic non sanzionato sulla caviglia di Felipe Anderson. La Juve rincula, cerca di limitare anche con le brutte il fraseggio nemico. Tutto inutile, perché la Lazio addirittura palleggia in volo e Immobile s’inventa un diagonale incrociato su cui Szczesny deve compiere un mezzo miracolo. Ciro ci riprova invano con un piattone sul fondo, la difesa bianconera viene stretta sempre più all’angolino. E crolla quando Di Bello decide di non punire la mano lesta di Milinkovic sulla schiena di Bremer e di assegnare il 66esimo timbro del serbo al volo. Bellissimo il cross (sesto assist) di Zaccagni, ma persino Sergej non ci crede fin quando Irrati al Var non conferma tutto. La Juve è furiosa (il collaboratore Folletti espulso), ma reagisce subito: sfonda la porta di Provedel a testate con Rabiot, al suo decimo gol.

MAGIE - La Vecchia Signora rientra in campo con un altro spirito, aggredisce la Lazio, ma alla fine è solo fumo. Perché i biancocelesti riprendono metri, ritmo, e affondano il match con il piattone a giro di Zaccagni a fil di palo. Felipe corre e sforna un cioccolatino al centro, accarezzato di tacco da Luis Alberto sui piedi dell’ex esterno del Verona, a segno con la sua decima freccia sotto lo sguardo del ct Mancio. Mattia realizza persino il bis, ma è in fuorigioco su una giocata visionaria di Milinkovic, miglior straniero (raggiunto Klose a 54 reti in A) non solo biancoceleste in campo. L’amico Vlahovic e il campione del mondo Di Maria scompaiono stavolta di fronte al suo cospetto. Tutta la Juve sparisce dietro la lavagna di Sarri e la forza di quest’immensa Lazio. Il Messaggero/Alberto Abbate

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