Più che una rivincita, cerca una rivalsa. Perché il suo lavoro dalla parti del «Regno Sabaudo» non è mai stato apprezzato. L’uomo con la tuta a Corte degli Imperatori; non poteva funzionare, il centro di gravità era Cristiano Ronaldo, una multinazionale piazzata in mezzo a uno spogliatoio consunto, avvinzito, spremuto. Eppure fu scudetto. «Abbiamo vinto il titolo senza praticamente festeggiarlo - aveva commentato qualche mese dopo l’allenatore - siamo andati a cena ognuno per conto proprio. Probabilmente l'anno giusto per andare alla Juventus sarebbe stato quello successivo, quando a maggio hanno festeggiato il quarto posto». È stato un addio indolore, perché Sarri e la Juventus non si sono mai amati; un’infatuazione estiva dopo la noia degli otto scudetti consecutivi tra Conte e Allegri, una storia chiusa in fretta senza rimorsi né rimpianti; a volte, vincere non è importante, ma neanche l’unica cosa che conta, se è vero com’è vero che la percentuale di vittorie di Maurizio Sarri è stata superiore a quella ottenuta da Capello. E allora si riparte dall’altra parte della barricata, dove il calcio è meno aristocratico, ma non certo meno nobile; Sarri ha trovato la propria dimensione nella città Eterna, dove la Lazio non è soltanto una squadra, ma anche una famiglia dagli antichi valori, e la lazialità non è solo un’etichetta, ma una filosofia di vita, uno stile da tramandare di padre in figlio. «Alla Lazio sto bene, mi hanno fatto sentire importante - ha detto al termine della sfida vinta contro il Monza - vorrei un progetto a lunghissima scadenza, voglio chiudere la carriera allenando questa squadra. La Lazio è strana, perché da fuori non te ne rendi conto, ma da dentro la lazialità ti invade». E allora eccola, la sfida giusta al momento giusto; Sarri ospita la Vecchia Signora, con oltre cinquantamila sostenitori sugli spalti, tifosi passionali, pronti a tributare al condottiero laziale il giusto tributo e gli onori di un intero popolo. Perché Sarri e il popolo laziale hanno trovato quella corrispondenza di amorosi sensi che va oltre l’idillio, un rapporto sublime che va al di là dei risultati; i laziali amano il loro allenatore, amano il suo modo di fare - il suo modo di parlare - il suo essere sempre orientato in direzione ostinata e contraria: Sarri e i laziali sono fatti della stessa sostanza dei sogni, perché in fondo, non è importante ciò che si sente alla fine della corsa, ma ciò che si prova quando ancora si sta correndo. All’allenatore toscano, e ai suoi tifosi batte forte il cuore: ed è questa è l’unica cosa che conta. Il Tempo/Simone Pieretti

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