Che potesse servire qualche settimana, era nella logica delle cose. Che non fossero sufficienti alcuni mesi, francamente no. La Lazio di Maurizio Sarri è ancora un cantiere aperto: si intravede qualcosa di bello, ma prevale una costante sensazione di precarietà. Il Napoli di Sarri sbocciò nel giro di poche partite, la Juve di Sarri non è mai esistita, la Lazio di Sarri all’inizio del girone di ritorno è a livello embrionale. Nei cinque campionati con Simone Inzaghi in panchina, solo una volta (2018-19) la Lazio aveva totalizzato così pochi punti (32) dopo 20 giornate: nelle altre stagioni l’attuale tecnico dell’Inter era arrivato a 37 (2020- 21), 40 (2016-17e2017-18) e perfino 45 (2019-20). Cos’è successo quindi? L’unico alibi per Sarri potrebbe essere la rivoluzione tattica: il passaggio dal 3-5-2 al 4-3-3 richiede tempo, soprattutto in fase difensiva. Però ormai sono passati sei mesi e la Lazio subisce 1,85 reti a partita. Le disattenzioni come quelle di ieri si pagano a caro prezzo e non vengono bilanciate da un rendimento mediamente accettabile contro le squadre che sono più su in classifica (disastro con il Napoli, sconfitte nette con Milan e Juve, pareggio con l’Atalanta, vittorie con Roma, Inter e Fiorentina). La giubilazione di Lazzari, per quanto legata a un discorso tattico, rappresenta un impoverimento della rosa, senza contare che il valore del giocatore cala sensibilmente. Le incomprensioni con Luis Alberto (si può lasciar fuori il più bravo in nome dell’Idea?) hanno rallentato il progetto. Il gioco scorre poco fluido, l’assenza di un regista tipicamente “sarriano” non aiuta. Però era lecito attendersi qualcosa in più: i pareggi in casa con Cagliari (2-2) e Udinese (4-4) e i disastri di Bologna (0-3) e Verona (1-4) raccontano una squadra priva di equilibrio e anche di certezze. La Lazio ha lampi di bel gioco, ma non ha continuità neanche nella stessa partita. E per puntare a un posto in Europa serve molto d più. Gazzetta dello Sport.

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