Questo è calcio sinfonico, con un quintetto d’archi che suona melodie divine, di quelle che avvicinano il cielo e riscaldano il cuore. Che serata, che Lazio. C’è anche lei, non può non esserci, nel gran mucchio delle ipotetiche inseguitrici del Napoli, che in realtà sprintano per un posto in Champions League. Il 4-0 al Milan, il peggior Milan degli ultimi due anni va detto, è una chiamata al campionato, un avviso chiaro. Se Sarri ha trovato il modo di far convivere Milinkovic e Luis Alberto, i primi due violini, insieme al tridente tutto pancia a terra e delizie tecniche formato da Pedro, Felipe e Zaccagni, gli altri archi preziosi dell’orchestra, allora tante cose diventano possibili. Era la partita più attesa della giornata per i possibili equilibri che proponeva, è diventata un’esecuzione: il Milan è davvero a terra, non vince da cinque partite e dopo lo 0-3 in Supercoppa fa un’altra figuraccia. Il sospetto ormai fondatissimo è che la carrozza di un anno fa sia ridiventata una zucca, e ora Pioli è davvero in enorme difficoltà. Chissà come ne usci- rà.

UNA PASSEGGIATA SULL’ERBA - Una passeggiata in punta di piedi, tra tocchi felpati e una certa leggiadria, che a tratti si ammanta di arroganza tecnica: il primo tempo della Lazio è di rara perfezione, finisce 2-0 ed è anche troppo poco, gioca largo e arioso, fa sussultare in tribuna Lotito, notato con pregevole cappello a falde larghe. Il Milan non rinnega l’assetto della Supercoppa, Pioli lo conferma nel modulo e in quasi tutti gli uomini (Kalulu e Dest le uniche novità), con l’intento di cercare dentro di sé, e non con le rivoluzioni, la squadra perduta. Missione fallita. Il Diavolo dello scorso campionato è stinto in un angioletto impalpabile, senza fuoco, i reparti slabbrati e non più compatti come se ci fosse un cedimento strutturale e mentale, Leao vagante e con un’espressione del viso stizzita, poi Sarri gli ha messo da quella parte Marusic, e non Lazzari, per fargli sentire muscoli e pressing. La Lazio ne approfitta subito, perché invece le funziona tutto, le distanze, le giocate palla a terra, i triangoli a testa alta, e va in vantaggio con un gol sarriano, da leccarsi i baffi, tutto col pallone a pelo d’erba. Felipe Anderson, che da centravanti sa dare anche più variazioni al gioco rispetto a Immobile, esce sulla trequarti e trova Zaccagni, che avvia la sua magnifica partita in cui farà piangere il povero Calabria con percussione e assist al centro, dove c’è addirittura un doppio velo, di Luis Alberto e Felipe: arriva Milinkovic e piazza il sinistro nell’angolo destro di un torpido Tatarusanu, lui che non aveva mai segnato al Milan, e in campionato non gonfiava la rete dal 3 ottobre. Per i rossoneri, che beccano per la terza volta in questo campionato un gol nei primi 5’, è subito durissima, mentre la Lazio può arroccarsi e per provare a distendersi in contropiede: le riuscirà spesso, perché il Milan batte in testa, Leao scappa una sola volta a Marusic, Messias un paio di volte a Hysaj ma sono punture di spillo, Giroud non vede palla e si lamenta soltanto, il piccolo Diaz annega nella marana di centrocampo, tutta la produzione offensiva sta in un tiraccio telefonato, e centrale, di Tonali al 19’, mentre esce Tomori per un guaio muscolare e arriva Kjaer. Lazio in controllo della situazione e dei suoi palpiti, così nella seconda parte del tempo esce a pungere, e fa male, perché è assai sicura di sé. Al 30’ Milinkovic, che sta salendo nettamente di condizione, pesca Zaccagni da destra, e salva Kjaer. Poi si anima Pedro, dopo un avvio complicato, e pesca alla perfezione la sovrapposizione in area di Marusic: tiro, palo, e sulla respinta Zaccagni segna a porta vuota. L’errore laziale, se ce n’è uno, è non segnare anche il terzo al 46’, ancora con Zaccagni, dopo illuminazione di Luis Alberto: salva Kjaer. La ripresa laziale è controllo, col l’obiettivo di tenere la gara in ghiaccio, tanto il più è fatto.

CONTROLLO E ALTRI DUE GOL - A parte una punizione appena fuori di Bennacer al 4’, il Milan costruisce l’unica vera occasione al 17’, po- co dopo il triplo contemporaneo ingresso di De Ketelaere, Saelemaekers e Origi: ma Leao, sotto misura e disturbato da Hysaj, calcia alto da 3 metri. È invece proprio l’albanese, amuleto e fido di Sarri, a far partire il contropiede da cui nasce il rigore del 3-0 che chiude la gara: intercetto e lancio per Felipe nel deserto della difesa milanista, assist per Pedro che calcia ma viene poi agganciato da Kalulu: Luis Alberto trasforma con un gelido destro centrale, di pura arroganza tecnica, simbolo di una Lazio perfetta, che poi fa anche il quarto, meritato premio per Felipe, che raccoglie un assist baciato di Luis Alberto nel cuore dell’area, altra azione avviata da Zaccagni. Abbiamo visto la Lazio migliore dell’era Sarri: la Cosa ha preso forma, il campionato è avvertito. Il Messaggero

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